In forza non so bene di quale sottoscrizione a quale sito mi
arriva giorni fa l’invito “VIP” per visitare l’edizione romana dello Smau
(acronimo di Salone Macchine e Attrezzature per l'Ufficio).
Avevo intenzione di
seguire un paio di seminari gratuiti sull’iterazione fra web e
comunicazione.
Arrivo e tanto per cambiare la segnaletica per il
fantomatico “parcheggio VIP” ha la stessa precisione dei recenti exitpoll. Dopo aver girato un bel po’ sotto la pioggia, trovo un posto non
segnalato dalle striscie, perché mi sono già stancato, e cedo per rassegnazione
a trovarmi all’uscita l’immancabile contravvenzione di quel esempio di zelo che
sono i vigili urbani del comune di Fiumicino (che per dimestichezza con l’arte
di rimpinguare le casse comunali meriterebbero, con titoli, di poter ambire
alla poltrona di Via XX Settembre).
Entro, dopo aver percorso un cinquecento metri sotto una
pioggia che tuttavia ha il potere di non indispormi del tutto. Cammino lungo il
corridoio centrale non mancando di osservarne l’abbandono.
Un alone di tristezza che, sarà il tempo, sarà la giornata,
sta lì a ricordarti che ti trovi nell’ennesima opera dell’affarismo romano: una
cattedrale nel deserto che torna a vivere, per lo spazio di pochi giorni, di
volta in volta per la sagra della porchetta, per una sedicente fiera dell’edilizia
e amenità varie.
Mi inoltro nell’unico padiglione che ospita la
manifestazione di quest’anno. Siamo in crisi. Gli espositori liquefatti, molti
gli spazi vuoti. Cerco sulla cartina le “arene” (piccoli spazi vuoti ricavati
fra gli stand) nelle quali si tengono i seminari che mi interessano. Con la mia
proverbiale dimestichezza, come un mister Magoo qualsiasi mi fermo all’esterno
di una di queste arene.
La pischella al banco mi bracca con una pistola laser
in mano, ansiosa di leggere il codice a barre sul retro del cartellino che mi
hanno messo, come ogni bravo congressista che si conviene. Dopo una manciata di
minuti, verifico con la piantina che non è quella l’arena che mi interessa.
Stanno parlando di windows 8, è gente Microsoft. Ho confuso le arene.
Cosi
arrivo a quella alla quale volevo assistere, che è già cominciata da un pezzo.
Ovviamente in piedi, ovviamente da molto lontano, distinguendo appena quanto,
da un microfono caritatevole, il conduttore sta appena dicendo.
Da li a poco termina. Mi rimetto in moto. Prima passo al
bar, pago per un panino (di silicone) e una cocacola 7,50 euro, (niente in confronto
ai prezzi della Fiera di Bologna). Rifocillato, riprendo il giro fra gli stand.
Solita fauna. Gente in giacca e cravatta, COCOCO; standisti, venditori che sembrano usciti (scartati)
da un casting per un remake di The big Kahuna. Volti tristi di belle figliole che compulsano
i rispettivi smartphone dietro banchi di stand nei quali l’ultimo visitatore
sembra essere passato mesi fa: gridano desolazione.
Quasi per sincronicità squilla il telefonino. Anzi vibra,
giacchè è d’uopo metterlo in silenzioso per non disturbare il relatore
(preoccupazione soverchia: come detto la distanza fra me e i vari relatori è
prossima a quella fra noi e la cometa di Halley, tanti gli spettatori in piedi
che affollano per altri metri gli stantii perimetri delle “arene”. Un collega
che non sento da anni. Mi chiede se posso segnalargli una ditta per dei lavori
di manutenzione per un lavoro fatto almeno un paio di decenni fa.
Simpaticamente ha anche lui (siamo rimasti in pochi, in Italia) a disporre di
un numero che inizia per 337. Scherziamo pensando che a breve verremo
contattati dal WWF per sottoporci ad adeguata tutela. Parliamo, è mio coetaneo.
Ne ha piene le palle anche lui. Mi dice che sono giorni che il telefono non
squilla, mi svela il proposito di raggiungere un figlio (che provvidenzialmente
ha sposato una ragazza australiana) per fare qualcosa in Australia. E’ tutto
cosi decadente.
Vedere queste Aziende, queste persone, aggirarsi frenetici
ma leggere, inconfessata, la domanda inespressa di un po’ tutti: “che cazzo ci
stiamo a fare, qui ?”.
Allora non sai come interpretare, il voler essere venuto.
Aggrapparsi, contro ogni ragionevole dubbio, alla speranza che la locomotiva
Italia prima o poi riparta (carbone o non carbone), o adagiarsi in questo
torpore malcelato da un attivismo che sa di forza di inerzia. Non so se ho
reso. Restare sospesi fra queste due interpretazioni. Avendo, in ogni caso, la
certezza che non dipenda da nessuno dei presenti. Ma con diverse sfumature
sulla scala dell’io speriamo che me la cavo (gli ostinati) e il “basta che se
magna” (i pragmatici, immarcescibili, romani).
Assisto ad un paio di altri seminari. Uno è cosi
istituzionale (taccio per carità di patria il nome dell’Azienda) che persino i
conduttori sembrano imbarazzati (e in questo senso fantastico circa il senso
della realtà di coloro che l’hanno partorito, dai loro comodi e parassitari
posti di lavoro felpati e arredati all’ultima moda).
Suona tutto falso. E nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
Metti che poi arriva davvero, ‘sta ripresa ?
Per la cronaca: mi ha detto bene, all'uscita (forse perchè pioveva o si sono sbronzati con gli incassi dell'IMU) non ho trovato alcuna contravvenzione. Culo.
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