14/02/24

Sanremo? No, Hunger games.

 Sanremo? No, Hunger games.


E’ finita, è finita, è finita. Anche quest’edizione è andata. Record di ascolti a consacrare la scelta di “scalettare” su cinque serate, affidandole una ciascuna ad un presentatore diverso. Nel dubbio tu metti che a levà se fa sempre in tempo.

Il Sanremo dell’incertezza, come fosse un termometro del Paese. Il grande disordine internazionale, con tensioni a due passi, la salute dell’economia, finita la “sbornia” del 110%, il festival dei tassi, debellata la pandemia, si scandiscono i mesi avvolti nel dubbio. Nel frattempo, ci si scopre più inclini a rimuginare preoccupazioni che a progettare radiosi futuri. E in questo il Festival non ha mancato, regalando un testa a testa che, potevano mancare? Ha dato luogo a strascichi di polemiche. Una sorta di riunione di condominio andata a male.

Se solo si accenna ad un messaggio di pace (concedete la dietrologia, ma perché perdonarla, all’epoca, alla coppia Lennon-Ono, con il loro appello-megaposter affisso nelle piazze delle più grandi città di tutto il mondo “The war is over” seguito da un prudente “if you want it”) mentre se lo pronuncia un ragazzo si smuovono ambasciatori? Piuttosto, sarebbe stato più bello se qualche canzone avesse affrontato il tema in modo più incisivo, invece di sfiorarlo appena nell’intervallo fra un concorrente e l’altro, no? Si dirà, altri tempi, le ragazze si vogliono divertire (cit.) cosi una sequela di canzoni pensate, strutturate per propendere verso la leggerezza…

Ma è davvero così? Salvo qualche testo, quello di Mahmood, quello lisergico di Bunker quarantaquattro, il “sociale” è rimasto sullo sfondo, più reggaeton che impegno (la marcetta “Un ragazzo incontra una ragazza”), figurarsi la denuncia. Ad altri (e già è un fiorire di articoli-servizi in merito) il compito dell’analisi dei testi (c’è chi si è divertito a contare quante volte ricorrono alcune parole nei brani presentati sul palco, vedi a volte la comodità degli algoritmi...?) quanto alle melodie, salvo rare eccezioni, “roba triste” come dice un mio amico, rare le “botte di vita” (posto che fra queste non si vogliano annotare i Ricchi e Poveri…). La dove la riproposizione di scansioni musicali tipiche del rap o hiphop (quello vero, made in USA) lascia spazio a qualcos’altro, in soccorso arrivano le tipiche melodie latino-america. Buone per ballare.

Ecco, si forse è di ballare che in questo momento c’è bisogno, perbacco non sono in fondo gli anni 20? Come il ragtime prese il via dalle tastiere poste nei bordelli, finita da poco la Prima guerra mondiale, mentre in Europa ci si industriava al bis, anche quella musica d’evasione, e quale miglior tappeto musicale per incontri anche bene mercenari, che rimandino ad un mai sopito desiderio di gioire?

Così, questi Hunger game di noaltri, hanno visto le solite comparsate di ospiti internazionali, Travolti da un insolito destino, quello più chiacchierato, del qua-qua. Vecchie glorie per lisciare il pelo al pubblico d’antan, metti mai si annoiasse fra un autotune e l’altro. Ma ad oggi, a palco ancora caldo, prematura qualsiasi previsione. Di solito i verdetti sono fatti per essere smentiti. E in questo il mondo delle radio, c’è da scommettere, giocherà un ruolo non secondario per “bombardarci” con motivi che vedranno così decretato il premio di consolazione (si fa per dire) del “gradimento del pubblico” (posto si voglia ancora credere all’aggettivo “libere” che le caratterizzava agli albori della radiofonia in “effeemme”, oggi saldamente dominata dalle scalette imposte da questa o da quella casa discografica).

La Noia, nome-omen, canzone vincitrice di questa edizione venti ventiquattro, vedi bene è pubblicata da una etichetta indipendente. Se si è disposti a perdonare il ricorso al ritmo della Cumbia, non propriamente tipico di Lagonegro, un piccolo segnale positivo.

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