Nel fine settimana appena trascorso due immagini, su tutte, sono arrivate nelle nostre case come un pugno negli occhi. La tragedia dei tre ragazzi inghiottiti dalla piena del Natisone e la folle corsa dell’auto dei coniugi tedeschi.
Per entrambi gli avvenimenti a supporto sono stati girati dei video, uno che riprende l’abbraccio disperato dei ragazzi mentre le acque del fiume si ingrossano, l’altro che riprende la traiettoria impazzita dell’auto di colore scuso che piomba (è il caso di dirlo) a tutta velocità su un casello mentre erano in attesa altre auto.
La morte in diretta. Non so a voi, ma queste sequenze, la loro spietata indifferenza (in un caso, quello dell’autostrada A12 erano telecamere di sorveglianza, in servizio permanente effettivo H2 nell’altro qualcuno che, impotente, stava assistendo in diretta ad una disgrazia che si andava consumando sotto il proprio sguardo.
Viviamo in un'epoca dettata da ritmi che abbiamo finito ad accettare ma che non ci appartengono pienamente. La morte, quando arriva cosi, “nero su bianco” è una realtà ineludibile, e arriva con tutta la sua violenza a ricordarci quanto siamo fragili, quanto siano vacue le nostre certezze.
In un caso, una gita di piacere subito dopo il conseguimento di una laurea (chissà quanto agognata e l’impegno per conseguirla, quali le speranze dischiuse dietro l’ottenimento di questo traguardo) dall’altro delle agognate vacanze, anche qui, chissà con quanta cura preparate per passare dei giorni di riposo dal solito tran-tran della vita quotidiana, in quel della Germania.
Agli altri il compito di accertare cause e responsabilità, a noi che abbiamo assistito solo le lacrime, il pensiero per queste, spesso, giovani vite stroncate con una ironia beffarda, solo per aver azzardato l’idea di andare a scattare delle foto nel greto di un fiume, o mentre l’uscita da un casello prefigurava ancora pochi chilometri al raggiungimento di una meta per trascorrere alcuni giorni in totale relax.
Insieme, la spettacolarizzazione del dolore, il rischio cioè che il ripetersi di questi tragici avvenimenti, induca la gran parte di noi a stendere un velo, passati i pochi o tanti secondi di doveroso cordoglio (compartecipazione) ciascuno pensando…”e se ci fossi stato io? O un mio caro?”, quasi consolandosi per averla scampata, per non essere stato, anche se involontari, protagonisti di vicende analoghe.
Il caso, si dirà, come quando non si trovano le risposte, il balletto dei se…se non fossero stati lì quei tre ragazzi, se i soccorsi fossero arrivati per tempo, oppure, se quel ragazzo toscano non fosse stato a bordo di quella cinquecento rossa proprio lì, in quel momento, mentre la conducente pagava il pedaggio e mai e poi mai poteva aspettarsi di venire schiacciata di li a breve da un auto a tutta velocità il cui conducente probabilmente aveva avuto un malore o un’anomalia al cruise-control.
Resta che la tv, incolpevole per questo, in quanto “mezzo”, o “media” come la chiamano in America, in un caso e nell’altro ha reso tutto questo visibile, senza infingimenti, “in presa diretta” ribadendo la portata “di notizia” di queste due tragedie. Insieme, per i più sensibili, l’occasione per riflettere sul bene più prezioso che è la nostra vita e, ancora insieme, quella degli altri.