Subito dopo vorrei che lasciaste da fare tutto. Un attimo.
Interrompere il flusso dei pensieri, per un momento. Staccarvi dagli impegni e
lasciare che la lettura faccia il suo effetto.
Quando Ezio scrive cosi è impegnativo. Ma è una fatica
ripagata. Invita a guardare oltre.
E io a questo post ho continuato a pensare, nel corso dei
giorni successivi alla sua lettura, quasi per caso: era linkato in un suo quasi
timido post su facebook. Una di quelle rare perle che si perdono nel mare magno
delle cazzate...nel teatro dell’effimero.
Partiamo da Bolano. E’ vero, anche io ne la parte degli
omicidi, anzi dei femminicidi ho arrancato. Mi faceva fatica il leggere pagine
e pagine piene di verbali e dolore. All’epoca spontaneo, non ancora corroborato
dall’informazione che erano tutti omicidi realmente avvenuti e che quelli sui
quali si basava la asettica ricostruzione del ritrovamento dei cadaveri e quasi da brogliaccio da questura, erano in
effetti qualcosa a metà fra un mattinale e un rapporto scritto da qualcuno
dotato almeno dei fondamentali: scevro da sovrappensieri, e scarno al
minimalismo. Semmai è la collocazione di questi rapporti, cosi, accostati ad
alcune fra le più belle pagine di letteratura del resto di 2666, a farle
brillare ancor di più per manifesta esposizione alla violenza.
C’è stato Giorgio dell’Arti che anni fa pubblicò un testo
“Il coro dei morti ammazzati”. In quel caso, qualcosa di analogo, l’autore come
scandendo una giornata, volendo conferire un ordine anche lì ad una cruda
sequela di delitti, li iscrisse (presumo prendendo a prestito il momento
effettivo della giornata nei quali si erano consumati) in una scansione
misurata nel tempo di una giornata: mattino, pomeriggio, sera, notte.
Pagine di inchiostro sono state spese sulla funzione
catartica dell’esposizione alla violenza. Siamo tutti Alex, si quello di
Arancia meccanica, terapeutizzati a nostra insaputa. E il nostro rapporto col
male, dice anche molto del modo col quale lo gestiamo.
All’apprendere dell’ennesimo dramma familiare, la dicotomia
oscilla fra l’indifferenza (ma quanti sono e con quanta frequenza si ripetono
questi “femminicidi”), e l’immediata archiviazione fra i fatti che accadendo ci
ricordano che fra i nostri simili c’e’ gente cosi. Lasciamo alla fredda
statistica il compito di questa contabilità necrologica. Prendiamo il discorso
di Ezio. Ezio è come lamentasse la mancanza di un Atlante ragionato del male.
Un volume che un po’ tutti faremmo bene a leggere.
L’esposizione alla violenza produce in modo immediato la sua
ripulsa. Ci immunizza dall’anche solo pensare a riperpetuare gesti simili.
Eppure, il rischio, volendo accettare (si passi il verbo) anche questo nel
novero delle cose possibili fra una coppia di individui di sesso diverso, che
quel lampo di pazzia, chissà a fronte di un momento di annebbiamento sia
possibile non controllarlo e trovarsi d’amblè sulle cronache di un giornale,
con la nostra brava faccia di cazzo della patente di anni fa.
Non so. L’argine è la conoscenza. Chiaro che il frettoloso
archiviare, sospinto dall’ennesimo e più recente fatto di sangue, collabori a
considerare “normale” che tutto questo accada, possa accadere fra un uomo e una
donna che vivano un qualche disagio nel loro rapporto.
No, non è solo affare di sociologi, di terapeuti della
coppia ansiosi di documentarsi meglio circa le dinamiche e divertirsi
successivamente nel gioco dell’interpretazione. La scrittura, anche bene quella
di un articolo di giornale, per quanto attenta possa dirsi già contiene in sé i
prodromi dell’accettazione. Ed è probabilmente questo il fienile disposto a
prender fuoco non appena una scintilla si incarichi di scoccare nei dintorni.
Ci siamo abituati, ma l’escalation delle ultime settimane,
di adesso, di questo 2012 condito dal culo di Belem, della sua farfallina
tatuata, ci dice che qualcosa non torna. Ne stanno accadendo troppi.
E allora delle due l’una: o al di là della tanto sbandierata
crescita della cultura del rispetto, il rapporto con la donna discende ancora-e
pesantemente- da riti arcaici che chissà da quanto ci portiamo dietro, oppure è
la fragilità dell’uomo, inteso qui come maschio. Messo in ombra da una
determinazione che già anche solo in chiave biologica richiederebbe il massimo
del rispetto di ogni individuo senziente, ma che rivela la paura, mai sopita, di un abbandono. L’incapacità
a restare soli, prim’ancora che la perpetuazione di un dominio inconsapevole
sull’altro sesso.
Rimedi ? Non ci sono. Salvo quelli di insistere, in ogni
ambito sociale, sull’eliminazione della paura, sull’accettazione del se, sulla disponibilità
a rimettersi in gioco, in una nuova relazione, suscettibile di diventare amore,
altrettanto forte, sano e rispettoso.
Non puoi chiedere questo a chi per primo non si ama, e
sceglie la soppressione come unico illusorio e risolutore strumento per
tacitare (e stavolta per sempre) la propria e l’altrui ansia d’amore.
E'proprio cosi. Emanciparsi dalla paura. Grazie, Ezio
RispondiEliminaE'proprio cosi. Emanciparsi dalla paura. Grazie, Ezio
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