Si, quello su “la terra dei fuochi”. Non ho parole. O forse
si, qualcuna mi viene.
Ma non è il solito rito dell’indignazione. No. Quello che in
questo modo di fare giornalismo non va giù è la spettacolarizzazione del
dolore. E questo chiama in causa la qualità dell’informazione. Ma è l’aspetto
come dire “a valle”. Che ci confonde, e rispetto al quale tutti i dubbi sono legittimi.
Come quello che, denunciando in questo modo,
poi tutto, ripeto al di là dell’indignazione, resti come prima.
Le parole di un pentito, si dirà. Depotenziando in partenza.
Svuotando di credibilità. Ma dopo, dopo l’emotività cosa resta?
C’è un fatto, nel profluvio di parole che sono state spese,
che da solo varrebbe in qualsiasi altro paese una mezza sollevazione popolare.
Ed è il silenzio col quale le autorità hanno sepolto due volte la gente di quei
territori. Ci sono servitori dello Stato che si sono ammalati per assolvere al
proprio dovere andando ad indagare in quei territori. Ce ne sono altri che
avranno continuato a vivere indisturbati da venti anni in qua.
E anche qui, la morale non basta. Parlo della condanna
morale.
Vorrei che si conoscessero i nomi di coloro che hanno taciuto, si
indagassero i loro conti correnti e degli stretti familiari. In altre parole
chi ha coperto chi. Dopo di che, non un centesimo delle mie tasse a concorrere
alle loro pensioni dorate e intoccabili. Le parole di un pentito, certo. Alle
quali, da venti anni, nessuno ha prestato ascolto. Un arbitrio grave, nel paese
dell’obbligatorietà dell’azione penale. Schiacciati da poteri occulti più forti
di loro? Minacciati della vita dalla criminalità organizzata? Ma qui, se
fossero confermati gli interramenti di materiali radioattivi, siamo agli
effetti perversi di una Nagasaki a scoppio ritardato.
Nel frattempo difendiamo il Made in Italy, le mozzarelle
dop, ci facciamo belli. Lì, in quelle terre, la gente muore, grazie al silenzio
di chi ha imposto la secretazione di quelle confessioni.
Ci connota come Paese, la maniera nella quale siamo difesi
da una Giustizia che dovrebbe, per statuto, tutelare la salute pubblica. Chi l’ha
gestita in questa maniera, ai miei occhi, ha le stesse responsabilità di chi
quei rifiuti tossici li ha interrati (dagli industriali che hanno avuto i loro
vantaggi, alle bande criminali che l’hanno gestito, questo traffico immondo).
Il servizio si ferma sulla scena del pentito che si alza
sdegnato, sotto l’incalzante e confuso accuse delle due mamme che hanno perso i
loro piccoli, invitate anche loro in studio, promettendo di non voler più
rilasciare interviste.
Due Italie, anzi tre, ieri sera in studio.Quella di chi ha pagato per scelte scellerate altrui, quella
di chi ha gestito (anche bene pentendosene quasi subito) e quella di chi, a
venti anni di distanza ha ritenuto di farne un servizio di giornalismo di
inchiesta.
Mancava la quarta: quella di chi ha colpevolmente
insabbiato.
Buongiorno,
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silvia [at] paperblog.com
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