Adesso lo sappiamo con certezza. Siamo costantemente
osservati, “profilati”.
Evviva. Lo siamo per tanti motivi, la privacy sta
divertendosi a modificare i suoi confini, come il delta di un fiume, nei
secoli.
Ciò nonostante, o forse, proprio grazie a ciò, vorrei
spendere qui due parole intorno ad una cosa banale, un’inezia si dirà, ma che è
rivelatrice forse e più di tonnellate di carta di rapporti Istat, Censis et
compagnia cantando. (e fra l’altro, gratis).
Una massima zen, citata ne L’ultimo samurai, indimenticato
film di qualche anno fa, recitava più o meno: “ dare importanza alle cose di
nessuna importanza”.
Ecco. La scena, vissuta personalmente almeno un paio di
volte, ma chissà quante altre invece ripetuta lungo tutto lo Stivale.
Prendete un punto di ristorazione: a me è capitata, entrambe
le volte, in un centro commerciale.
Non ha importanza qui l’insegna, se Mc Donalds, Giovanni
Rana (eh si, il merchandising vuole anche i tortellini cotti da altri, mica
solo da se stessi in rabbiose serate solinghe…) o Vattelapesca take-away).
E’ invalso l’uso di prendere possesso dei tavoli (in genere,
soprattutto nelle ore di punta appena appena adeguati alla quantità di
pubblico) prim’ancora di aver preso in mano il fatidico “vassoio” col cibo sopra.
In altri termini: ancora devo mettermi in coda per decidere
cosa cazzo mangiare, ma intanto delego (fa niente qui, oppure no, sarebbe bello
“profilare” anche questo) qualcuno, un mio amico, un parente, un figlio, un
nonno a “occupare” un tavolo libero, costringendo per una bizzarra concezione
del tempo (il nostro si sa, vale sempre qualcosa in più di quello degli
altri)...coloro che hanno già il vassoio in mano a guardarsi spauriti
all’affannosa ricerca di un posto dove potersi sedere tranquilli e trangugiare
il pasto.
Un'inezia? Provate a mettere il naso in questo genere di
posto, vedrete quanto è diffusa. Nonostante i gestori più ispirati al
politically correct non si risparmino l’affissione di qualche blando cartello
ammonitore (chissà, diretta applicazione di qualche rigoroso diktat magari
scritto da qualche civile funzionario straniero della multinazionale, alla
stregua degli avvisi che trovate nelle metropolitane di tutta Europa, che
recitano, più o meno, ahò occhio ai fingerpicking (borseggiatori, per
quelli di Afragola).
Cercando di capire questo comportamento, ne viene fuori un
profilo sconfortante. Lasciando da parte l’educazione (quest’ultima ahimè, mai
cosi in disuso). Nell’atto di sovvertire un ordine logico, il movente non è la
logica, di convivenza, che troverebbe “normale” accettare l’idea che la
priorità del posto spetti a chi ha già il cibo in mano, ma la propria. La
propria logica evidentemente reputa più importante assicurarsi “ora per
allora”, di prendere il posto a prescindere. Non ho un cazzo in mano, al limite
sfrutto un indumento, un cappotto, i sacchi della spesa, le buste di qualche
boutique per occupare i posti a sedere, come in festival sull’assenza, e in
tutta franchezza ostento noncuranza delle regole “civili” in quanto reputo più
importante il mio (e quello dei miei eventuali commensali, della “mia” tribù)
bisogno di trovare una seduta per consumare un pasto in santa pace. Ad
osservarli si percepisce anche quanto radicata e normale sia tale convinzione.
Hanno le espressioni più serene della terra, l’unica apprensione che possono,
potrebbero manifestare è per la qualità (o quantità) di cibo che il “delegato
alla coda” sarà in grado di riportargli, nonché il livello di temperatura.
Del resto, non gliene importa una sega. Non si pongono
assolutamente il problema, anzi, dov’è il problema? C’è un posto libero? Lo
prendo.
E’ l’ansia del posto fisso. Tu intanto fa il concorso, e
“prenditi il posto”. Ecco l’Italia che vogliamo dimenticare è stata anche
questa. La vulgata che voleva la possibilità di sfuggire ad un futuro di
stenti, all’ottenimento di un posto fisso (indipendentemente se in banca, al
comune, alla provincia, alla regione o in qualsiasi ministero). Il posto come
amuleto contro la sfiga. Il posto come giusto corrispettivo all’incertezza dei
tempi. Una coperta di Linus, l’affrancarsi dall’affanno, una meta.
Cos’altro? Il dispregio degli altri. Esisto io e metto le
mie esigenze un gradino sopra quelle degli altri (coi quali, per bizzarra
contraddizione posso anche fare lo splendido mandando auguri sentiti per ogni
ricorrenza, intrattenendo piacevoli discussioni ad una fermata del tram, bus o
metro che sia). A me non me ne frega un cazzo, in queste circostanze, degli
altri. Io intanto occupo il posto.
Questo “tic” rivelatore, fa il paio con l’altro caso
diffuso, della pratica di scavalcare una coda ad un semaforo. E’ normale, da
Bolzano in giù. Una volta mi è capitato di farlo a Merano (BZ) ma per sbaglio,
non conoscendo il semaforo che aveva i verdi “splittati”, mi ero messo in coda
non accorgendomi che per girare a sinistra dovevo appunto stare sulla coda di
sinistra. Io ero sulla destra. Ricordo ancora oggi le occhiate di fuoco
(nessuno osò apostrofarmi con rimarcati colpi di clacson) ricevute dagli
automobilisti cui avevo ingombrato la strada per consentirgli di girare a
destra.
Venite sulla Cristoforo Colombo, a qualsiasi ora del giorno
o della notte: è pratica diffusa.
C’e’ sempre qualcuno (non importa la cilindrata, il prezzo,
o il modello dell’auto che lo trasporta) che ritiene il proprio tempo essere
più importante di quello degli altri che, coglioni, si sono messi in coda, come
si dice con un avverbio svuotato di senso “regolarmente”. E’ diventato regolare
questo di comportamento. Godo, ahimè raramente; sol quando una pattuglia di
vigli si apposta carognescamente poco avanti al semaforo e graziosamente li
ferma, immagino e spero non per fargliela passare con un buffetto.
Tu vivi male, fratello. E’ vero, do ancora importanza a
queste stronzate.
Sono talmente stronzate che però, giorno dopo giorno,
granello dopo granello, sgretolano quel residuato bellico del concetto di
convivenza civile, che ha uno dei suoi fondamenti nell’osservanza CONDIVISA di
regole, fossero anche le più piccole, le più insignificanti.
E queste lo sono, come recitava quella massima zen.
Sia come sia, un buon 2015, speriamo migliore di questo.
Nessun commento:
Posta un commento