Anni fa, Elvis Costello pubblicò un cd davvero mirabile, a
partire già dal titolo. Si chiamava All this useless beauty. Tutta questa
bellezza inutile (o sprecata, che secondo me suona meglio).
E’ il concetto di Bellezza, cosi soggettivo, difficile da
omologare senza evitare di contaminarlo con il gusto corrente delle cose, della
vita delle persone, delle città, del quale si occupa questa pellicola.
Si lavora per addizione allora. Dove il regista sente il
bisogno di un canone, e sceglie la Roma più oleografica, spinta all’estremo da
una fotografia che si incarica di stabilirlo questo canone. E all’interno del
quale collocare, facendo perno sulla figura di Jep (un performante Servillo) e
del microcosmo nel quale si agita, uno dei ritratti più fedeli del "Roman-way-of-life"..
Il film è un omaggio al simbolismo. Come una di quelle cover
(passabili) che il solito artista semi affermato prima o poi (a corto di
inventiva personale) sente di dover tributare a coloro verso i quali è grato,
attribuendogli paternità mai riconosciute, al limite del conflitto edipico. Qui
i riferimenti sono Fellini e Buñuel.
Il primo per esser stato capace di rendere “la dolce vita”,
forse Roma stessa, come meglio non si
sarebbe potuto. Il secondo per via di un suo particolare sguardo sulle”virtù”
della borghesia e la fin troppo chiara citazione nella scena della giraffa nel teatro di Massenzio e degli aironi sul balcone prospiciente il Colosseo.
Fatta la tara a tutto questo, la Bellezza del film riposa in
un uso sapiente (e quasi narrativo) dei primi piani e su alcune, salaci,
battute.
Sorrentino è già nell’empireo di certa critica. Gli va dato
almeno il merito di provarci. Nessuno, almeno fin qui ha saputo rendere meglio
il trash patinato di alcune terrazze romane. Luoghi dove, a dispetto del sol
dell’avvenir, si decidono cinquine, si stabiliscono degli eletti, si sussurrano sentenze e infine si
fa a gara per sopprimere alla meglio il senso di inutilità del tutto, quasi che
le beghe umane piuttosto che diventare il centro del mondo, a petto del
continuo (insistito) confronto con quanto di più vicino al canone della
bellezza “classica” svelino, in modo potente, tutta la loro inconsistenza.
Tutta questa bellezza (tempo, amori, affetti, luoghi) sprecata, appunto, mentre si approssima la morte.
Da vedere.
Sempre di questo regista, altra “recensione” qui.
ti ringrazio per aver offerto al mio blog una recensione diversa dalla mia. il rapporto con Buñuel era abbastanza chiaro nella giraffa, che ricorda un po' lo struzzo - periscopio dello zoo nel Fantasma della libertà,ma soprattutto nell'ultima scena, più che nel volo degli aironi, nel gruppo degli oziosi sfaccendati che si incamminano verso qualche non luogo, ricordando la famosa analoga scena nel Fascino indiscreto della borghesia. Ho recensito entrambi i film sul mio blog, che ha una sezione solo per Buñuel.
RispondiEliminatu chiamale, se vuoi, citazioni.
EliminaOpera complessa quella di Sorrentino. Non proprio un Bignami per chi si fosse perso i due maestri citati. In ogni caso grazie, leggerò volentieri le tue recensioni.
http://diobenedicaquestospazio.blogspot.it/2013/05/la-grande-bellezza-di-paolo-sorrentino.html
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