Sono sempre più frequenti i casi di maltrattamenti ai danni
di anziani e bambini.
Anche qui, come per i cosiddetti “femminicidi”, anzi volendo
includere anche quelli, danno il metro dei valori di una società, malata nelle
fondamenta.
E’ lo scenario avvilente di quest’Italia degli “anni 10”.
Complice l’occhio spietato di telecamere nascoste, quello che sta emergendo è
un ritratto a tutto tondo del degrado morale dentro al quale è condannato a
rimanere chi è in qualche modo espluso dal ciclo produttivo.
Un’idea distorta di welfare, che è diventato anch’esso un
business. Nel totale vuoto legislativo, certo non casuale, la società che
invecchia, l’imminente arrivo nella terza età della generazione dei
baby-boomers (periodo a cavallo degli anni 50-60 del secolo scorso) fa fregare
le mani di improvvisati imprenditori pronti ad arricchirsi nella sfera dei
servizi. Ecco la nascita come funghi di case di riposo. Luoghi nei quali
anziché trovare conforto, assistenza, solidarietà, condivisione, gli “anziani”
vengono lasciati preda di personale raccogliticcio, ingaggiato con criteri
opachi, formato in modo discutibile, lecito pensare anche sottopagato.
E la frustrazione aumenta. Vivere con fastidio il lamento
del vecchietto, l’inevitabile errore o capriccio, in luogo di comprensione
genera rabbia, abbiamo visto, spesso violenza. La peggiore perché esercita su
un inerme, incapace di difendersi. Quella più brutale, rivoltante.
Le immagini che con via via maggiore frequenza di anziani
malmenati da personale (fa niente qui apprenderne la nazionalità: la crudeltà
non conosce latitudini, confini) fanno irruzione nel nostro quotidiano,
inducendo a pensare a quale modello di società siamo destinati.
Non generalizzo. “Sono casi isolati” arriva presto
l’assolutoria frase di circostanza con la quale scacciare questo tetro scenario
di violenza pret-a-porter.
Già sarebbe da discutere un modello sociale nel quale le
famiglie, incapaci di gestirle in proprio, espellono gli anziani, destinandoli
in questi lager, più o meno edulcolorati. Perché?
La “crisi” sta contrastando questo fenomeno di abbandono. La
pensione degli anziani il viatico col quale sopportare il fastidio di tenerli
ancora in casa. Ma il fenomeno della crescita di queste “case di riposo” sta a
dimostrare che evidentemente c’è anche tanto benessere in giro, e giù di
rapporti sociologici che si incaricano di dirci come siamo, al solito, brutti,
sporchi e cattivi. Si mettono lì gli anziani perché fa fastidio tenerli in
casa, anche bene accuditi da una badante. Ed ecco come in questi luoghi, quasi
fossero una soffitta, viene scaricato chi, esaurito ogni straccio di ruolo che
ruota intorno alla possibilità di produrre reddito, inutile, un peso, finito.
Un cronicario.
Il parallelo va all’estremo opposto. I bambini. Di pari
passo ai casi di anziani malmenati, di scoperte di case di riposo che competono
per sensibilità con Auschwiz, ecco i casi degli asili nido, nei quali stessa
sorte capita ad un’altra fetta della popolazione inerme: quella dei bambini.
Anche qui frequenti gli scoop. E sempre le onnipresenti telecamere ci
restituiscono, impietose, un concentrato di umanità due punto zero. Stavolta ad
opera quasi sempre di stimate connazionali. Fa paura. E si rimane basiti
davanti a scene che documentano maltrattamenti contro chi non può, come gli
anziani, difendersi. E il danno collaterale: in luogo di amore e attenzione,
chissà i disagi e a quale idea di società formare questi “futuri cittadini”.
Arriva veloce l’assuefazione. Il pericolo è questo, il
considerarli “episodi” e non figli di una cultura da provare a cambiare, e
presto. E sempre questo maledetto rapporto con la capacità di produzione di
reddito al quale abbiamo finito di delegare il titolo per appartenere alla
società.
Entrambi, gli anziani cosi come i bambini, e aggiungerei in
questo senso anche le donne vittime di “femminicidi”, sono l’espressione di
un’incapacità di ri-progettare una società al cui centro ci sia una visione
laica e di rispetto quasi “biologico” per la vita, quale che sia la fase nella
quale si trova un cittadino.
Paradossalmente l’enorme progresso scientifico,
l’attenzione posta nella ricerca dei gangli vitali delle cellule, testimonia la
sete di conoscenza del misterioso “moto a luogo” cui sono soggette le cellule,
la loro riproduzione, confligge con l’incapacità di trasporre la stessa
attenzione a chi, ospitando ancora questo concerto (fa niente se agli sgoccioli
come nel caso degli anziani, o agli albori in quello dei bambini) porti l’uomo
più che erectus, “produttore capace di reddito” (…presto, un acronimo please)
ad ignorare che stiamo assistendo ad una degenerazione antropologica.
Abbiamo
consentito che in luogo di una mutua assistenza verso i più deboli, si
sostituisse ad essa una fruizione della stessa in chiave speculativa. Asili
nido privati che sorgono come funghi, grazie all’incapacità
dell’amministrazione pubblica di gestirne di propri. Case di ricovero (o di
riposo) che seguono lo stesso percorso. Affidati a personale chi sa come
selezionato, che abbiamo visto di cosa è capace. La punta di un iceberg?
Rischio di generalizzazione? Probabile.
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