Le ultime lettere di Roberto Bolano.
Tam tam da qualche in giorno in rete. Titolo “Il gaucho
insopportabile”. Ne stanno parlando (scrivendo) amici che seguo. Gente che
scrive. Non li leggo. Non voglio mai leggere prima le recensioni altrui. Niente
di personale, è un vezzo che mi porto dietro da tempo. E poi con Bolano ho un
rapporto particolare. Con la sua scrittura, certo, che purtroppo non è più tra
noi ma su qualche stella distante, chissà importunato da Cassini.
Il Gaucho è la sintesi del bolanismo. Posto che sia possibile
aggiungere un semplice ismo per tentare di definire una cosmogonia. Ma è il
tono, qui, in questo testo scritto poco prima della morte nel 2003, arrivato
grazie alla mano fatata di Ilide Carmignani, che ancora una volta, dopo il
monumentale 2666 lo traduce in punta di dita, regalando una rara sensazione di
continuità e coerenza di voce, dicevo del tono che si fa disteso e non meno
lucido, considerando la consapevolezza della gravità della sua malattia, alla
quale ha anzi il pregio di parlare senza interrompere (e non potrebbe essere
altrimenti) la consueta vena ironica.
Questo buio feroce, di Harold Brodkey è altro pianeta al confronto. In quel testo
Brodkey suppura la sofferenza per l’avvicinarsi consapevole della sua fine
quasi con anglosassone distacco. Bolano è il sud america. E’ il “teatro” come
lo definisce di una commedia in replica da sempre. Ma non vi è nulla di fittizio,
o di impostato. Ce ne parla (scrive) come stesse raccontando le gesta di un
qualsiasi Amalfitano (suo personaggio “seriale”, presente su 2666 e in altri
scritti, come I dispiaceri del vero poliziotto).
Per chi ama la sua scrittura, questo se possibile è un
ulteriore atto d’amore. Nel Gaucho, la somma di tre storie prim’ancora di
regalare la sensazione di “un tanto al
chilo” tipico di tanta superproduzione (spesso tale proprio per coprire la
vacuità della scrittura) ha un’asciuttezza e una sua logica coerente. E i
personaggi; il grande avvocato argentino che all’epoca del crack finanziario
del paese se ne torna in un semi dimenticato rifugio sperduto nelle campagne,
riscoprendosi altro da se [NO SPOILER: leggetelo!]. Cosi come le altre storie e
soprattutto la serie dei capitoletti dedicati alla malattia. Un distillato di
poesia, commovente quanto lucida e a tratti auto-ironica, tale da legittimare
il sospetto che abbia voluto considerare questo suo, una sorta di commiato, un
testamento apocrifo che lungi dall’inseguire qualsiasi forma di sacralità, si
incarichi, fino all’ultimo di relativizzare, spolpare fino ad arrivare all’essenza
pura, il senso della propria storia, per come si è lasciato conoscere, per le
pagine che ci ha regalato.
Il Gaucho ci consegna l’ennesima prova della genialità e
dell’umanità di un uomo che vorremmo ancora qui con noi, a raccontarci altro,
senza una fine, impossibilitato ad avere un limite, sempre nel suo stile, mai
urlato, mai sentenziante e quando mai lo diventa ne percepisci sotto il grande
portato di condivisione, la generosità di una visione quasi sussurrata ma alla
quale è impossibile, e ci mette in guardia da ciò, tentare di ascrivere altro
da ciò che asserisce attraverso la sua scrittura. La complessità di questo
autore richiede piacevoli riletture. E’ tanto il sub-strato che ci arriva
attraverso le sue parole, forse al di la delle sue stesse intenzioni. Ma siamo
noi distratti, confusi dal rumore di fondo, dai canti di sirene che cantano una
notte sola. Bolano è una sinfonia che muove al passo delle onde. Come queste
non cessa di arrivare sulla sabbia, in un ultimo rantolo riottoso e cancellare
tutti i nostri preconcetti-disegni, per poi ricominciare.
Da leggere, per chi lo apprezza e per chi ancora non lo
conosce ma ama la scrittura che fa soffrire e talora ridere insieme.
Operazioni, ben inteso, da compiere con la stessa medesima grazia.
Ho letto 2666 e I detective selvaggi e sono rimasto folgorato. Metto in lista anche questo, allora. Grazie della dritta.
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