Undici, un numero che difficilmente i
newyorkesi dimenticheranno. Domenica mattina, c'è un cielo adatto a
questa visita. Quelle bianche giornate estive, velate da uno strato
di nuvole, che contribuiscono a dare alla luce un colore surreale. Il
tempo. Quello meteo e quello scandito dal passare degli anni.
Sono passati 11 anni da quella ferita.
Non so quanto ci vorrà a rimarginarla. Jonathan Franzen, chiedendosi
come raccontare ad un bimbo che nel 2001 ancora non era nato questa
tragedia, suggerisce di prendere a paradigma la storia del cuoco di
uno dei ristoranti situati nella vetta di una delle due torri, la
seconda.
Avendo assistito all'impatto dell'aereo
sulla prima, prese il telefono e telefonò a casa. A casa la moglie
non c'era. Era in lavanderia, si quelle a gettone. Provò più volte,
senza successo. All'ultima telefonata lasciò detto alla figlia,
ditele che la amo.
Ditele che la amo. Hai la
consapevolezza che di li a breve non ci sei più. Non hai ancora ben
recepito cosa diavolo è successo. Ma conservi la tenerezza di fare
una telefonata a casa, per poter dire ancora una volta, forse
l'ultima, a tua moglie “ti amo”. Ecco, questa struggente scheggia
raccontata da Franzen, sintetizza bene il modo di prenderla, da parte
della gente di questa città.
Anche il memoriale, non ha nulla, o
poco, della retorica dei monumenti. Minimalista all'ossessione. Lì
dove sorgevano le torri, al posto delle loro immense fondamenta, due
mega vasche. E l'acqua. L'acqua che scivola da pareti di marmo nero
inclinate verso il fondo, dove ancora, al centro, un'altra piccola
vasca si incarica di raccorglierla e di risospingerla, attraverso i
condotti, dall'alto, per lasciarla scivolare di nuovo dalle pareti,
in un moto continuo. L'acqua. Un elemento positivo, la vita. L'acqua
che si muove, che non sta ferma per definizione. L'acqua il cui
rumore è l'unico che si percepisce, nonostante la gente, gran parte
turisti, che affolla quest'angolo di New York che è una
sceneggiatura venuta male. La città sutura la ferita. Ai margini un
grattacielo, stavolta uno solo, si staglia verso il cielo. Ancora in
fase di costruzione. Mancano gli ultimi piani. Come dicevo in uno dei
primi post da questo viaggio, una maniera camuffata di stabilire una
relazione con Dio.
I nomi, ancora. I nomi di tutte le
vittime, uno per uno, incisi sugli spessi parapetti di metallo
(sembra ottone, lavorato al laser). I caratteri sono dei vuoti sulla
superficie della lamiera. Anche questo, a volerlo leggere, un modo
attraverso le parole, per ricordare chi, da quella maledetta mattina,
non c'è più. Ma rimane l'amore. Quello si. L'amore della gente che
vive in questo angolo di mondo, verso la propria città. La voglia di
ricostruire, e insieme, di non dimenticare. Poi, poi, per una volta,
si lascia da parte la retorica e si bada, anche solo muovendo i
propri passi in quest'area immensa che ha ancora l'aspetto di un
mega-cantiere, a capire. Capire quello che è successo. E da lì,
ricominciare.
il sito ufficiale del Memorial: qui
Se volete potete scaricare una visualizzazione (rendering) dell'intera area quando sarà ultimata: qui
Se volete potete scaricare una visualizzazione (rendering) dell'intera area quando sarà ultimata: qui
Anch'io ci sono stato... E' cosi' come dici tu.
RispondiElimina