E’ che uno non sa mai cosa fare, nei weekend. Cosi, basta una segnalazione in uno di quei siti che elencano gli eventi per la serata a Roma, per decidere di andare. La parola chiave è CARVER. Bene, si va.
Il Teatro delle Maschere è su una parallela di Viale
Trastevere, tratto fra via Nievo e il ministero della Pubblica Istruzione. Si
entra, si stacca il biglietto. Comincia: si alza il palcoscenico.
Sei scene. Sei atti dai titoli tratti dagli omonimi racconti
di Raymond Carver.
Gli attori? Allievi di una scuola di recitazione, ma non fa
niente.
Davanti ad alcune titubanze, recitazioni cui va fatta la
tara di quanto detto sopra (allievi) è l’insieme che risulta gradevole, per la
capacità (della scenografia, delle musiche, infine dell’atmosfera) che il tutto
riesce a far arrivare.
Fra il primo e il secondo tempo, qualche anziano guadagna
silenzioso l’uscita (forse si aspettavano altro).
Cosa c’e’ di buono? Che queste contaminazioni mi mandano ai
matti. Cosi come (ne ho scritto qui) anni fa andai a vedere uno spettacolo di
danza creato sulle musiche di Frank Zappa, anche stavolta ricordare i racconti
che lessi (prima che diventasse un mito) di Carver riproposti in chiave
teatrale, beh, è uno zuccherino.
I dialoghi, la forza dei dialoghi che era già degna di nota
in forma scritta, si ripete anche nella recitazione, laddove solo la parziale
inesperienza degli attori, in termini di mancata spigliatezza, non riesce
tuttavia a fargli perdere l’efficacia. E’ il mondo di Carver rivive, stavolta
privo dei suoi ipnotici “disse”.
Meraviglioso, su tutti, vedere il gioco di Cattedrale,
contatto fra due mani che disegnano, quella di un cieco sul dorso di quella di
uno che tenta, attraverso il tratto, di spiegargli come è fatta, che forma ha,
una Cattedrale (sul quale si sono riversati fiumi di inchiostro) riproposto
dagli attori con una naturalezza che lascia senza fiato e coinvolge il pubblico
più smaliziato.
Ho assistito allo spettacolo in compagnia di una persona che
non aveva mai letto nulla di Carver. Al termine, mi ha confermato di aver
percepito l’humus dei suoi micro mondi. La forza irresistibile di un “cambiamento”
di un’epifania (come la chiamano i più dotti) che scaturisce sempre. Anche
nelle situazione più statiche, come nella vita. Che poi è quella cosa, della
quale nell’arte di raccontarla anche partendo dalle sue pieghe più banali,
Carver è stato maestro indiscusso.
Bello.
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