05/05/13

Viaggio sola, di Maria Sole Tognazzi















Ogni tanto vado volentieri a vedere dei film di registi italiani. Mi piace vedere “lo stato dell’arte”.
Cosi, staccato il biglietto, stasera, per assistere alla proiezione.
Il film ha un buon cast. La Buy, si può dire, lo regge quasi da sola. Accursi, le fa quasi da comprimario.
Ma il pregio è della sceneggiatura. E’ una storia che si presta a tanti sottotesti. O almeno, al di là di una lettura limitata al soggetto, può rivelare diverse chiavi di lettura.

Intanto, non so se è una moda importata, ma la narrazione si svolge per pennellate aggiuntive. Nel senso che il montaggio ha il pregio di far scorrere (con quale indulgenza alla fotografia oleografica che nell’economia del film si rivela irrilevante) la pellicola senza pause auto indulgenti, e con un buon ritmo.
E’ sostanzialmente la storia di una solitudine consapevole. La maturità di una donna che sceglie, invece di essere scelta, ostaggio di una professione apparentemente ambita ma che per bocca della sorella della protagonista “la fa guadagnare come un’impiegata”. No, non è per quello che la nostra sale e scende continuamente da aerei, alberghi a cinque stelle, splendide città europee, africane e orientali.

E’ il parallelo fra la vita, apparentemente noiosa, della protagonista e quella votata alla routine della sorella: un marito in preda al classico calo del desiderio, dei figli ancora piccoli, un lavoro e la gestione di una casa.
Una casa la nostra non ce l’ha. O se ce l’ha, si rapporta con ironia anche con essa. Cosi come fa nei questionari che compila, facendo come lavoro l’ispettrice di qualità in incognito. “Si è trovata a suo agio in questo ambiente?” sentiamo chiedersi, con intento evidentemente ironico.
Due modi di intendere la vita. La Buy, che vorremmo felice di questo lavoro che la vede ospite di lussuose location, e la vita “normale” di sua sorella.

Il film offre spunti interessanti, come quando, in un hotel di Berlino, la Buy stringe amicizia, in un bagno turco, con un’anziana sessuologa, lì per presentare un libro. La donna le offre una definizione del lusso: “lo vede? Guardi con i suoi occhi”, le dice, “non le sembra che tutto questo lusso faccia sentire gli ospiti come in un palcoscenico?”.  E ancora, la Buy stessa, che parlando ad un suo ex (Accursi) che la va a trovare “sul lavoro” getta un’interessante riflessione circa il gioco della falsa identità che è chiamata per lavoro (ma infondo, non solo) a sostenere.

Un’elegia della fuga, confermata da una battuta finale, con la quale finge al telefono con la sorella, di voler mollare tutto per dedicarsi al volontariato in una scuola in Tanzania, per aiutare i bambini poveri.

“La morale, Benigni, la morale”, incalzava un giovane Arbore ai tempi de l’altra domenica, il Roberto nazionale nei panni di un improbabile critico cinematografico militante. La morale è che si tratta di un film che sebbene girato da una figlia d’arte (Maria Sole Tognazzi), si lascia apprezzare per il ritmo, per il coraggio di vivere la solitudine, anche a costo di inevitabili malinconie (il rapporto conflittuale con l’ex che intanto aspetta un figlio da un’altra donna, o con la sorella perfettamente integrata nella nevrosi della casalinga) decide di viversi comunque la sua diversità, accettando il prezzo di non poter avere una famiglia.

Ho visto di peggio.

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