Itaca, o il ritorno.
Ho appena finito di vedere (si, non ce l’ho fatta, l’ho
dovuto vedere, intanto da solo) ONDE ROD, il lungometraggio di Mario Pischedda.
La tenerezza, del temporale finale. Una poetica liquida,
come quella della Pioggia, che spazza via tutto.
Girato a bordo di auto che solcano le strade della Sardegna.
Un docufilm? Non proprio. L’estrema varietà delle presenze, i dialoghi (spesso
monologhi) di tante persone chiuse in un microcosmo con le ruote.
Non è Cortazar, nemmeno Eisenstein. E’ altro.
Un sovrapporsi
affastellato di voci, spezzoni, inquadrature.
E’ il fluire della vita, ciascuno con la lettura che dà di
essa. Tutte perfettamente decorose. Ciascuna tendente alla verità che tutti
abbraccia e consola. La terra di Sardegna. Certi suoi scorci lunari. Dove anche
tracce della contaminante “modernità” proprio non ce la fanno ad omologare un
paesaggio, che rimane a sé, restio a farsi omologare, compiaciuto della sua
asprezza. ONDE ROD è questo. E’ una lacrima che sta per uscirti sul volto di
una donna bellissima e silente, che va incontro alla notte. E’, per dirla in
altre parole, poesia. Poesia dell’immagine. E di questo nostro tempo, a volte
così triste.
C’è una sequenza bellissima verso il finale. C’è un gran
temporale, i fari che illuminano una strada (lo percepiamo dai catarifrangenti ai
bordi) e dai “frattali” che la pioggia disegna sul parabrezza che avanza, con
pigrizia rara). Un novello Ulisse, per chilometri, al buio, illuminati solo dai
fari dell’auto, con la musica ipnotica di Fresu di sottofondo. Alla fine di una serie
di curve, il bagliore. Una luce-Penelope che si staglia davanti agli occhi, con
autorità, mettendo per un attimo il buio in castigo. Itaca a portar via, il
viaggio, il ritorno.
E’ bello questo film di Mario. E’ da vedere. E da lasciar
decantare.
Come un buon vino, ha bisogno di aria.
Regaliamogliela, facciamolo girare.
Grazie Mario, di cuore.
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